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Uno zoom sull’universo con e-VLBI

Flussi di dati nell’ordine dei Terabyte da antenne sparse per il pianeta da sincronizzare e trasmettere: la rete è pronta per la sfida di e-VLBI

La comunità di ricerca del VLBI, in particolare con la sua versione online e-VLBI, è tra le più stimolanti dal punto di vista delle sfide poste ai modelli e alle tecnologie di rete.

Con la disponibilità di reti in fibra ottica e della tecnologia trasmissiva DWDM, ma anche di infrastrutture e applicazioni specializzate sviluppate all’interno dei progetti europei EXPReS e NEXPReS, la comunità promette di diventare ancora più interessante. VLBI è l’acronimo di Very Long Baseline Interferometry, una tecnica che consente di mettere in correlazione i dati raccolti da vari radiotelescopi che osservano una sorgente radio (ad esempio un quasar) nello stesso momento, combinandoli in modo da ottenere un’immagine di risoluzione tanto più elevata quanto più è ampia la distanza tra le parabole (detta “baseline”). In pratica, sincronizzando il segnale delle diverse antenne è possibile grazie a questa tecnica simulare un radio telescopio (o “interferometro”, appunto) grande come un continente o addirittura come l’intero pianeta, in grado di ottenere immagini dei corpi

Mauro NanniMauro Nanni
INAF - Ist. di Radioastronomia
Membro Comitato Tecnico Scientifico GARR
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celesti con un livello di dettaglio paragonabile all’osservare un singolo sasso sulla superficie della Luna. Avevamo presentato e-VLBI nel numero O di GARR NEWS e oggi torniamo a parlarne in occasione di una grande novità per la comunità radioastronomica italiana e non solo, cioè l’inaugurazione del Sardinia Radio Telescope (SRT), il più grande radiotelescopio italiano ed uno dei maggiori del mondo.

Un nuovo attore sulla scena dell’European VLBI Network

SRT
Inaugurato il 30 settembre scorso, per circa 100 giorni all’anno SRT effettuerà osservazioni congiunte con gli altri radiotelescopi EVN. Poiché SRT non è ancora collegato alla rete, è necessario registrare i dati su nastro e poi spedirli.
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Inaugurato il 30 settembre scorso, il SRT vanta una parabola di 64 metri di diametro, tra le più grandi e sensibili al mondo, e una superficie attiva che può operare efficacemente fino alla frequenza di 100 GHz; esso va ad aggiungersi agli altri due radiotelescopi di 32 metri dell’INAF, quelli di Medicina (BO) e di Noto (SR), già collegati alla rete GARR-X a 10 Gbps e quindi parte integrante dell’infrastruttura digitale distribuita realizzata dal network europeo EVN (European VLBI Network). EVN conta oggi una ventina di radiotelescopi, la maggior parte in Europa, ma con collaborazioni anche in Asia, America Latina, Africa, e da quest’anno si arricchirà del satellite russo RadioAstron. La presenza di un’antenna radio in orbita amplierà ulteriormente le dimensioni della rete VLBI globale e, di conseguenza, anche le sue prestazioni in termini di risoluzione angolare, permettendo di studiare con maggior dettaglio gli oggetti celesti. Un’altra collaborazione internazionale molto rilevante, in cui le infrastrutture di ricerca INAF potranno giocare un ruolo di primo piano, è quella con lo Square Kilometer Array (SKA guarda il video) che realizzerà array di telescopi in Sudafrica ed in Australia. Grazie alla loro posizione geografica unica in Europa, infatti, SRT e Noto potranno osservare molti degli oggetti celesti visibili anche dal Sudafrica e quindi partecipare a osservazioni congiunte con SKA. Ultima Ultimamente è poi arrivato l’invito dell’Accademia delle Scienze cinese a effettuare osservazioni congiunte con l’antenna “gemella” di SRT, situata nei pressi di Shangai. A livello italiano, c’è la volontà di sfruttare le tre parabole INAF per la creazione di una infrastruttura distribuita con baseline tra i 500 e i 900 Km dedicata allo sviluppo di programmi di osservazione per lo studio degli oggetti compatti e delle loro proprietà. La rete EVN e le osservazioni congiunte con satelliti quali RadioAstron operano con baseline dell’ordine di migliaia o decine di migliaia di chilometri, osservando nei minimi dettagli zone molto ridotte di cielo. Per contro, radiotelescopi come ATCA in Australia o il VLA in America hanno campi di vista molto più ampi, ma con una risoluzione più scarsa. Una rete di antenne con baseline di alcune centinaia di chilometri come quella costituita dalle antenne italiane si pone in una situazione intermedia e potrebbe permettere di esplorare campi di medie dimensioni con una discreta risoluzione. Se poi alle tre antenne INAF si aggiungesse anche l’antenna di 14 metri del centro di Geodesia di Matera, che partecipa da molti anni alle osservazioni VLBI geodinamico, la rete assumerebbe una configurazione ottimale nelle direzioni Est-Ovest e Nord-Sud.

Non solo oggetti celesti
Le antenne che captano sorgenti radio non servono solo per l’interferometria, ma hanno anche altre applicazioni. Ad esempio, l’antenna dell’Agenzia Spaziale Italiana presente presso il centro di Geodesia Spaziale di Matera dispone di ricevitori che sensibili a bande utilizzate per osservazioni di tipo geodinamico. Grazie alla collaborazione con le stazioni INAF è possibile realizzare campagne di monitoraggio dei movimenti delle placche tettoniche sia come parte del network International VLBI Service for Geodesy and Astrometry (IVS), sia a livello nazionale, dal momento che i radiotelescopi italiani si trovano su due placche continentali diverse, l’euroasiatica e l’africana. In questo tipo di osservazioni, una stessa sorgente radio puntiforme viene fissata da tutti i telescopi e utilizzata come punto di riferimento in base al quale misurare gli spostamenti relativi delle placche su cui essi si trovano: un'applicazione che secondo alcuni gruppi di ricerca potrebbe portare a predire eventi geologici quali i terremoti, quindi con un impatto potenziale davvero dirompente.

La sfida tecnologica

La complessità di e-VLBI è legata alla necessità di coordinare e sincronizzare attività di più antenne distanti migliaia di chilometri, registrare e trasferire grandissime quantità di dati e disporre di notevoli risorse di calcolo per la correlazione. La registrazione e il trasferimento dei dati durante le osservazioni sono particolarmente critici a livello sia tecnico che logistico, perché implica la gestione di singoli flussi dalle dimensioni di Terabyte che sono prodotti ad altissima velocità e devono essere registrati su disco o trasmessi in rete in tempo reale. Ciascuna delle antenne parte dell’infrastruttura VLBI dispone di diversi ricevitori in grado di operare, nell’intervallo tra i 300 MHz ed i 100 GHz, sulle bande di frequenza riservate alla radioastronomia. I ricevitori sono collegati a apparati di conversione analogico- digitale (detti “back-end”) che hanno la funzione di trasformare le onde elettromagnetiche captate dalle antenne in dati digitali. I back-end provvedono al campionamento del segnale acquisito dai ricevitori e sono quindi uno dei nodi cruciali dell’infrastruttura in quanto la loro la capacità di gestire bande radio più ampie permette di aumentare la sensibilità dell’antenna e di rilevare segnali radio sempre più deboli.

La complessità di e-VLBI è legata alla necessità di coordinare attività di antenne distanti migliaia di km, registrare e trasferire flussi di dati nell’ordine dei Terabyte

Nel tempo, si è cercato quindi di realizzare backend più sensibili e quindi in grado di produrre quantitativi sempre più ingenti di dati, dai 128-256 Mbps gestiti dai primi modelli, ai 4 Gbps attuali, fino all’obiettivo per i prossimi anni di raggiungere i 32 Gbps, il tutto ovviamente effettuato simultaneamente da ogni nodo della rete osservativa. I Digital Base Band Converter (DBBC) sono una classe di moderni back-end, prodotti da uno spin-off dell’INAF e adottati da stazioni radioastronomiche in tutto il mondo, in grado di operare già oggi a 4 Gbps e forniti di due uscite standard Ethernet da 10 Gbps. La presenza di due porte permette tra l’altro di inviare contemporaneamente gli stessi dati a uno storage e a un correlatore remoto, aspetto molto importante perché tutela contro perdite dei dati ma permette anche la correlazione in real time e quindi l’immediata accessibilità dei risultati da parte dei ricercatori.

Le reti ad alta velocità come GARR-X stanno completamente cambiando il panorama ed il modo di operare di VLBI. Se fino a ieri era necessario inviare supporti fisici contenenti i Terabyte di dati, con tutti i problemi logistici del caso, oggi si possono inviare via rete i soli dati utili. Non dovendo più dipendere dall’organizzazione delle spedizioni di pacchi di dischi attraverso paesi e continenti, diventa possibile effettuare osservazioni con antenne che si aggiungono di volta in volta al network a seconda della necessità dell’esperimento. Per sfruttare tutto il potenziale delle reti di nuova generazione come GARR-X e GÉANT è necessario anche ripensare il formato dei dati: quello tipico dei dati VLBI, originariamente concepito per la registrazione su nastro, prevede una lunghezza delle frame di 10.000 byte, mentre la trasmissione in rete di pacchetti che superano i 9.000 byte porta a dover suddividere e ricomporre le frame per la trasmissione, limitando la velocità di trasferimento dati e sovraccaricando i sistemi nella ricomposizione dell’informazione a valle del processo. Oggi la comunità radioastronomica internazionale ha definito un nuovo formato, il VLBI Data Interchange Format (VDIF) che tiene conto delle limitazioni imposte dalla trasmissione su rete dati geografica e permette di usare frame native di dimensioni variabili. Al momento, VDIF non è ancora supportato completamente in tutti i tipi di correlatori, ma si prevede che la sua graduale affermazione porterà in breve tempo a un miglior sfruttamento delle capacità di banda oggi disponibili alla comunità radioastronomica.

I radiotelescopi INAF si stanno dotando di backend DBBC e di sistemi veloci per la registrazione dei dati. I primi esperimenti hanno permesso e registrare singoli flussi di dati a 4 Gbps trasmessi su GARR-X direttamente dall’antenna di Medicina: un progresso notevole se si confronta con la velocità con cui possono essere estratti e inviati i dati dai sistemi di storage alle stazioni, che non permettono velocità maggiori di 700-800 Mbps. Presso l’Istituto di Radioastronomia di Bologna è stato recentemente realizzato nell’ambito del progetto FP7 NEXPReS un sistema di storage e correlazione, utilizzato per i test e le osservazioni delle antenne italiane. Il correlatore è un sistema costituito da tre server multicore collegati tra loro su rete con protocollo Infiniband a 40 Gbps e connessi a GARR-X attraverso uno switch a 10 Gbps, che ha il compito di sincronizzare frame di dati su tempi scala di microsecondi. Già oggi con questa configurazione sarebbe possibile accettare flussi da quattro antenne a 2 Gbps. La presenza del PoP GARR presso l’Area della Ricerca che ospita l’Istituto permetterà in futuro di acquisire ed elaborare i dati provenienti dai back-end di prossima generazione e da un numero maggiore di antenne. L’aumento delle antenne che partecipano alle osservazioni e le maggiori prestazioni offerte dai back-end di ultima generazione pongono comunque problemi enormi di scalabilità peri correlatori: infatti all’aumentare delle antenne coinvolte, non solo aumenta in modo lineare la quantità dei dati, ma soprattutto si moltiplica il numero delle baseline da calcolare. Per questa ragione anche il potente correlatore hardware europeo del Jive in Olanda inizia oggi a non essere più sufficiente e a non riuscire a gestire più di una decina di antenne con flussi a 10 Gbps. Per risolvere questo problema si lavora a un nuovo e più potente correlatore hardware, ma si sta anche valutando la possibilità di creare una rete di correlatori, a cui inviare singoli canali dei dati prodotti: anche in questa architettura distribuita la rete giocherà naturalmente un ruolo fondamentale. Già da anni le antenne di Medicina e Noto partecipano alle osservazioni e- VLBI con trasmissioni al Jive di singoli flussi sincronizzati da 1 Gbps. Se negli anni scorsi era necessario utilizzare un lightpath Milano-Amsterdam, per evitare ritardi nella trasmissione dei dati, oggi GARR-X e GÉANT garantiscono flussi UDP affidabili attraverso il continente e anche sperimentazioni a 2 e 4 Gbps hanno dato buoni risultati. Diventa quindi ancora più importante rendere possibile l’inclusione nella rete VLBI italiana della grande antenna SRT collegandola alla rete GARR-X: un’azione fortemente richiesta dalla comunità radioastronomica internazionale. Con questa sensibilissima antenna e un potenziamento della rete dell’antenna di Matera, l’Italia disporrebbe di una rete osservativa di prim’ordine con cui rafforzare il suo ruolo internazionale: un obiettivo cruciale che INAF, ASI e Regione Sardegna dovranno centrare nei prossimi anni.

E-VLBI
Oltre trent’anni di sviluppi tecnologici
Il consorzio European VLBI Network (EVN) venne fondato nel 1980 dai centri di ricerca radioastronomica di Italia, Germania, Olanda, Inghilterra e Svezia. Il primo radiotelescopio italiano, una parabola di 32 metri di diametro dedicata alle osservazioni VLBI, viene inaugurato nel 1983 a Medicina (BO), nei pressi del telescopio Croce del Nord. Un’antenna delle stesse dimensioni è pronta a Noto (SR) nel 1988. Dal 2005 le fibre ottiche cominciano a sostituire i pacchi di dischi nell’invio dei dati al correlatore, permettendo l’elaborazione dei dati in tempo reale e semplificando l’organizzazione delle osservazioni e la collaborazione di più antenne. Con l’obiettivo di creare un’infrastruttura europea distribuita in grado di sfruttare appieno questo approccio, viene lanciato nel marzo del 2006 il progetto EXPReS, finanziato dalla Commissione Europea nel sesto Programma Quadro e rinnovato nel successivo da NEXPReS, conclusosi a luglio.
www.evlbi.org